MOSTRA FOTOGRAFICA L’AFRICA NEI VOLTI E NEI GESTI (11 APRILE-20 MAGGIO 2016)
La mostra fotografica intitolata “L’Africa nei volti e nei gesti”, allestita presso il teatro della Parrocchia Cristo Risorto a Borgo (San Martino Buon Albergo), è composta da un centinaio di fotografie che ritraggono volti dei bambini, delle donne e delle persone, gesti , paesaggi, animali, flora e fauna che colorano e rallegrano il continente africano.
Questa mostra vuole essere una sorta di viaggio di conoscenza e di incontro, illuminato soprattutto dagli sguardi più che dalle parole. Anche perché come afferma San Giustino: “lo sguardo o il volto è lo specchio dell’anima”.
Questi pannelli fotografici pur nella loro estrema semplicità ci consentono di continuare ad esplorare la Terra Africana, questa volta però in una logica di incontri condivisi con un solo obiettivo: l’abbraccio fraterno per un Destino comune tra l’Africa e l’Europa. Sarà questo il leitmotiv del progetto formativo che si svolgerà nello spazio di questa mostra a partire dal 21 Aprile 2016 in collaborazione con le parrocchie di Marcellise e di Borgo (Cristo Risorto).
Ci rendiamo conto che non è sufficiente una mostra o uno scritto per descrivere in modo esaustivo questo delicato e prezioso mondo subsahariano, intreccio di persone, culture, paesaggi e animali. Tuttavia rimaniamo convinti che attraverso uno sguardo, uno scorcio e un gesto, ben evidenziati da una foto, siamo in grado di comprendere qualcosa che fino a quell’impatto ignoravamo o davamo per scontato.
Più di ogni altra cosa, non sono forse i gesti e i volti che ci fanno comprendere che prima di tutto siamo degli umani tra gli umani?
Buona visita e vi aspettiamo il 21 aprile 2016 (Inizio del corso sull’Africa Nera).
Jean-Pierre Piessou
Per infos e contatti: www.Afrigo.it (tel. 347.3021277)
Si ringrazia il Centro Documentazione Polesano di Badia Polesine per la collaborazione e l’amicizia.
In questo momento di dolore e di tristezza per la scomparsa prematura delle giovani studentesse di Erasmus nei pressi di Barcellona (Spagna) dedichiamo a queste connazionali e ai loro familiari in lutto questi due tre versi del poeta portoghese Fernando Pessoa (1888-1935):
…E’ tanto soave la fuga di questo giorno,
Lidia, che non sembra che viviamo.
Senza dubbio gli dei
ci sono grati in quest’ora….
Lucidi commensali della loro calma,
eredi un momento della loro perizia
di vivere tutta la vita
in un solo momento
Un solo momento, Lidia in cui separati
dalle terrene angustie riceviamo
olimpiche delizie
nelle nostre anime
E un solo momento ci sentiamo dèi
immortali per la calma che vestiamo
e l’altera indifferenza
alle cose passeggere…
Nel grande giorno anche i suoni son chiari
Nel riposo della vasta campagna s’attardano.
Sussurando, la brezza tace.
Vorrei, come i suoni, vivere delle cose,
ma non essere loro, conseguenza alata
in cui il reale va lungi..
La colonizzazione in Africa (circa dal 1884-1960/75) è stata spesso considerata dai più solamente come un fatto esterno che ha segnato l’Africa solo dal punto di vista politico, militare, religioso ed economico. Non lo nego. Anche questo è stata la colonizzazione europea in Africa. Ma c’è dell’altro su cui vorrei spendere due parole. E’ la colonizzazione europea in Africa che si è servita dei marchi simbolici per coinvolgere i giovani africani nella sciagurata avventura del dominio e dell’imperialismo coloniale. Anch’io facevo parte di questo gruppo di giovani, ma molti anni dopo la colonizzazione. Era quando ho iniziai a mettere piedi nelle strutture della scuola della “seconda infanzia”, cioè quando avevo 7 anni. Ero entrato nella struttura scolastica per caso. Struttura scolastica era nient’altro senno’ una serie di capanne di paglia sotto le quali venivano predisposti dei piccoli e medi sgabelli. Questi ultimi erano tutti di legno tek fabbricati da due carpentieri di Aveté e qualche modo venduti alla missione cattolica di Atakpamé per le sue prime scuole di apprendimento della lettura e della scrittura. Quando a sette anni, passando per caso accanto a questa grande capanna mi sedetti, sentii per un attimo un senso di smarriaento e di spaesamento. L’unica cosa che mi consolava in quel momento era la folta presenza dei ragazzi della mia età e dei compagni di gioco e di flirt. Dopo due giorni il maestro mi mise tra le mani una grande piuma e una bottiglietta di inchiostro. Qui iniziava la mia avventura da scolaro. Qualche mese dopo il mio maestro unico monsieur Sena una mattina arrivava in classe con una decina di piccoli oggetti colorati con dei tappi blu, in forma di siringhe, erano delle penne da scrivere. Le Bic appunto. Wooh! Finalmente giungono da noi questi misteriosi oggetti della modernità di cui tanto abbiamo sentito parlare.
I marchi coloniali che hanno accompagnato l’impegno dei colonizzatori europei in Africa sono fondamentalmente tre: Sono le Gaulloises françaises (sigaretta francese), le british King Size (sigaretta britannica), e infine le Bic fabriqué en France (la penna francese). Occorre aspettare qualche anno dopo per assistere alla mega diffusione degli altri marchi come la Coca cola e la Marlboro.
Questi oggetti di marca europea facevano già parte delle valigie degli esploratori quali Livingston, Réné Caillé, Stanley, Pierre Savorgnan de Brazza, Gustave Natchigall , cioè quelli che sono stati i primi ad avvicinarsi alla cultura e alla tradizione del mondo africano. Les Gaulloises che rappresentano un’ idea della grandeur françaises sono state accolte con entusismo,in particolar modo dai giovani,fin dalla loro comparsa. Molti di questi giovani (dai racconti degli anziani) divennero negli anni apprendisti fumatori. E’ considerato leggermente bianco, chi possiede e fuma la sigaretta del yovo yovo, l’uomo bianco.
Dunque per quanto riguarda sia la Gaulloise che il King Size non è difficile immaginare il loro impatto sulla gioventu’ dell’Africa coloniale. Quella gioventù che considerava l’europeo l “emancipato e il civilizzato” per antonomasia. Perciò era bene accaparrarsi degli oggetti e dei simboli che hanno reso famoso e rispettabile l’uomo bianco. Di qui la corsa a questi oggetti simbolici che a dire il vero rappresentavano già alloro uno status symbol.
I nomi stessi delle due marche di sigaretta sono emblematici. Le Gaulloises dei gallici che venivano mitizzati dai colonizzatori francesi nei territori sotto il loro dominio, tanto che talvolta essi affermavano senza contraditoria che gli stessi africani sarebbero “discendenti” dei gloriosi gallici. King Size invece simboleggiava la regalità del Kingdom, Regno d’Ingilterra e dei suoi famosi principi e come Giorgio V.
Naturalmente le Gaulloises si trovano di più nelle colonie francesi, per esempio nelle zone AOF (Africa Occidentale francese) come Senegal, Mali, Togo, Niger o AEF (Africa Equatoriale Francese), la Rep. Centrafricana, Gabon, Congo, il Tchad, il Congo Brazzaville che non nelle colonie britanniche come il Ghana, la Nigeria, il Kenya dove la King Size faceva la parte del leone tra le merci importate dall’esterno. Per pubblicizzare meglio questi oggetti-simboli, li si dipingeva sui muri dei villaggi e delle città. Gli stessi africani facevano a gara per vedere chi meglio degli altri riusciva a riprodurre con colori piuttosto vivaci questi prodotti sui muri e sugli edifici (negozi-baracca) delle città e perfino dei villaggi.
Sono stati gli stessi europei dei paesi colonizzatori a diffondere questo miraggio e questo mito storico d’Oltre Oceano. gli stessi europei che li descrivevano cosi’ per darsi un tono e un’ immagine che non avevano e portare “cultura e civilizzazione” ai “selvaggi africani”. In quegli anni l’espressione piu usata per nominare l’africano delle colonie era “le Bon sauvage”.
I colonizzatori mitizzavano questi oggetti anche per farsi accettare dalle popolazioni africane piuttosto sospettose e suscettibili, vista la precedente esperienza della schiavitù e della tratta.
Persino il missionario cattolico francese o anglicano britannico amava presentarsi nei villaggi e dai capivillaggi con il basco sul capo e la sigaretta in bocca. Aveva un particolare fascino.
A distanza di parecchi anni dopo l’indipendenza dei paesi africani, mi ricordo bene che i giovani dei villaggi, soprattutto coloro che studiavano manifestavano una folle simpatia nei confronti di queste sigarette di marca, Gaulloises e King Size e se le compravano con i piccoli risparmi che i genitori riuscivano a dare loro. Non erano grandi fumatori, ma piuttosto degli adoratori e simpatizzanti di questi simboli coloniali. Facevano la raccolta delle scatolette vuote, colore blu della Gaulloise e color rosso del King Size.
Un altro oggetto- simbolo della colonizzazione francese è la Bic “bastoncino con un omino stilizzato”.
Per gli stessi francesi della Belle Epoque la Bic risultava essere un marchio importaante in quanto favorisce la diffusione della cultura della grandeur française sia nei Dipartimenti come l’Algeria, la Réunion, les Comores e nelle colonie d’Outre-mer. La Bic è un modello di penna da scrivere che simboleggia il valore dell’Istruzione e dell’educazione nonché della scrittura da inculcare nelle menti degli indigènes (chiamati con disprezzo col termine indigo). francese per eccellenza della cultura intesa come istruzione.
Le prime Bic erano gialle,vendute nei magazins a prezzi abbastanza accessibili a TUTTI. Favorendone cosi’ la diffusione. Poi sono arrivate quelle trasparenti. Da notare tuttavia, che rispetto alle sigarete, la Bic giunge in Africa molti decenni dopo, quando cioè le piume-birro a inchiostro cominciavano a perdere il loro fascino presso i giovani scolari africani. Quando cioè attingere la piuma nell’inchiostro per scrivere veniva considerato segno di povertà, di miseria non di eleganza aristocratica (com’era e come sta tornando ad essere).
A distanza di cinquant’anni questi oggetti-simboli continuano a fare parlare di sé, nel bene e nel male. Devo anche aggiungere un particolare importante:
Che a questi oggetti si sono aggiunti centinaia e migliaia per via del neocolonialismo dell’Occidente e anche dell’Oriente, in particolare modo dalla Repubblica Popolare della Cina che fà la parte del leone in questa nuova corsa alla spartizione dell’Africa e alla distruzione della sua biosfera. Per essere chiari, mi stupisce sempre di più che sia uscita dalla agenda della Comunità Internazionale la grande questione del furto della terra, il fenomeno del the Land grabbing, che affligge l’Africa. Un furto perpetrato dalle Multinazionali e da singoli magnati economici che vanno a comprare ettari ed ettari di terreno a basso costo impoverendo le popolazioni che per anni coltivano su questi terreni prodotti di consumo quotidiano. Questi terreni di proprietà altrui vengono trasformati in una specie di gigantesche fattorie o campi agricoli per produrre prodotti di lusso come i fiori, le rose per esempio che poi sono venduti sui mercati borghesi di Amsterdam. Guarda a caso, gli operai, specie donne che lavorano in questi campi maneggiando inconsapevolmente talvolta prodotti chimici ad alto rischio cancerogeno sono gli africani.
Mi stupisce infine che sia del tutto sparita la questione delle multinazionali petroliferi, come la Shell, la Exxon, la Total, la Fina, l’Agip che rappresentano i nuovi marchi neocolonialisti in Africa. Alla faccia della cooperazione decentrata per una lotta più incisiva contro la miseria e la povertà. Alla faccia del Millennium di lotta contro la fame, la fame, le guerre in Africa.
Se le cose stanno cosi’ a 56 anni dall’indipendenza del continente africano, potremo ritornare a porre gli stessi interrogativi del grande storico burkinabè Joseph Ki-Zerbo: “.. A quand l’Afrique?”, a quando l’Africa? Dovremmo assolutamente immaginare nuove forme di cooperazione decentrata in grado di valorizzare le risorse che rappresentano le persone che producono e i loro territori di vita e di lavoro.
La notte del giovedì, 5 dicembre 2013 il vecchio leone combattente sudafricano Nelson Madiba Mandela consegnò il suo respiro agli Antenati e al Sublime.
Se ne andò a 95 anni!
Nacque il 18 luglio 1918. Le sue esequie avvennero il 15 dicembre a Qunu il suo villaggio che lo ha cresciuto dopo la morte di sua madre e dopo il suo trasferimento dal suo villaggio natale.
Tutto il mondo con i suoi rappresentanti da Obama al Papa Benedetto XVI, dai leaders europei, asiatici a quelli africani salutarono commossi l’uomo che ha vissuto per e con l’Umanità tutta intera lottando contro la brutta bestia del razzismo e dell’apartheid. L’Uomo che è stato rinchiuso in carcere dal 1 agosto 1962 fino all’11 febbraio 1990 per le sue idee e per la sua battaglia per una Comunità unita da persone “diverse”, bianche, nere, meticcie, indiane ecc..; L’Uomo del superiamento delle differenze religiose, culturali, ideologiche, antropologiche e geografiche e di colore della pelle o di appartenenze sessuali.
L’Uomo del Premio Nobel per la Pace il 10 dicembre 1993 insieme a Frederik De Klerk; l’Uomo della Commissione Verità e Riconcliazione; l’Uomo primo presidente nero sudafricano dal 1994 al 1999 (che ha lasciato la presidenza prima, perché voleva il ricambio generazionale per le nuove sfide); l’Uomo per la pace e la riconciliazione in Burundi, Rwanda, Congo Democratico…. il VISIONARIO con piedi per terra e col cuore caldo per la sorte dei poveri e degli emarginati. L’Uomo di tutte le periferie simili al sobborgo di Johannesburg di Soweto: Mandela appunto. A due di distanza lo ricordiamo col silenzio che si merita un Umile Grande come lui che si sentiva fratello, maestro illuminato per tutti i sentieri dell’Umanità fatta da poveri e da ricchi, da piccoli e da grandi, da gentili, da laici e da religiosi, da analfabeti e da scribi, ma tutti necessari per la crescita del mondo.
Grazie Mandela per la lezione di umanità che ci ha consegnato e che ci chiedi di tradurre in piccoli atti quotidiani per la pace, la fratellanza, la sorellanza, l’amicizia, la libertà…soprattutto in questi momenti difficili e di crisi di socialità carica purtroppo di violenza e di aggressione.